Come si identifica la presenza di una trombosi venosa?
La diagnosi della trombosi venosa profonda viene eseguita ormai quasi esclusivamente attraverso un’ecografia che è in grado di esplorare le vene degli arti inferiori e/o superiori e permette di scoprire se è presente e dove si trova il trombo. Lo studio con metodica ecografica utilizza una sorgente con ultrasuoni (sonda) a diversa frequenza acustica che emette e raccoglie gli echi di ritorno degli ultrasuoni stessi (un po’ come l’ecoscandaglio nelle barche o il sonar nei sottomarini). La sonda viene appoggiata sulla pelle, non direttamente ma immersa in uno strato sottile di gel acquoso interposto tra la pelle e la sonda che permette di togliere l’aria tra la sonda e la pelle così permettendo una maggior efficacia dell’indagine. Con l’opportuna emissione di “pacchetti” di ultrasuoni è possibile identificare l’asse vascolare venoso oggetto dello studio e permette, attraverso una lieve compressione della sonda sui tessuti sottostanti ed altre tecniche, di comprendere se all’interno della vena è eventualmente presente materiale trombotico che occlude il vaso e/o ne impedisce il deflusso di sangue. L’esame è in grado di esplorare anche altri distretti dell’organismo dove sono presenti vene profonde, come l’addome, dove si trovano le vene iliache, che sono i vasi che seguono quelli venosi degli arti inferiori e la cosiddetta vena cava inferiore, che raccoglie il sangue venoso degli arti inferiori e lo trasporta al cuore.
Questa indagine diagnostica è semplice, non invasiva e non ha pressoché alcuna controindicazione; presenta inoltre il vantaggio rilevante di non usare radiazioni ionizzanti (come la TAC) né mezzi di contrasto iodato che, seppur raramente, possono causare allergie e/o danni renali. Inoltre è un’esame di breve durata, che può essere ripetuto più volte, può essere eseguito direttamente al letto del paziente (anche nelle unità di pronto soccorso); la sua capacità di identificare la presenza di trombosi, se eseguita da un operatore esperto, è molto alta e rappresenta l’esame di scelta nella diagnosi di trombosi venosa profonda e/o superficiale. Tale metodica inoltre può essere utilizzata anche nelle donne in gravidanza o nei soggetti giovani senza particolari preoccupazioni in quanto l’ecografia, opportunamente calibrata, non è pericolosa per il feto e/o il bambino.
Sfortunatamente non sempre l’ecografia è in grado di dare buone immagini, soprattutto nella vena cava e/o nelle vene iliache, per difficoltà tecniche o per la particolare conformazione del paziente (es. soggetti obesi, pazienti con intereventi chirurgici addominali multipli e presenza di ampie zone di fibrosi, etc..); in questi casi si ricorre ad altre indagini, generalmente la TAC e la RMN con mezzo di contrasto. La prima prevede l’uso di radiazioni ionizzanti e mezzo di contrasto iodato: questa metodica permette la visualizzazione diretta dell’asse venoso e la presenza di eventuali trombosi all’interno del vaso stesso; offre il vantaggio di una visualizzazione dettagliata oltre che dell’asse vascolare anche delle strutture adiacenti (muscoli, linfonodi, ossa, etc…); deve essere usata con grande cautela o non usata affatto nei pazienti con allergie al mezzo di contrasto, insufficienza renale e nelle donne in gravidanza. L’indicazione alla TAC deve sempre essere giustificata perché il mezzo di contrasto può danneggiare i reni e le radiazioni ionizzanti non sono trascurabili e possono provocare danni anche gravi dopo molti anni, soprattutto se le indagini TAC sono ripetute spesso. La RMN vascolare offre il vantaggio, rispetto alla TAC, di non usare radiazioni ionizzanti ed il mezzo di contrasto utilizzato sembra meno nefrotossico (anche se alcuni studi scientifici lo ritengono comunque nefrotossico); tuttavia tale metodica richiede un tempo più lungo di esecuzione e le immagini dell’asse vascolare a volte possono risultare meno nitide. Inoltre è di difficile esecuzione nei soggetti claustrofobici (poiché l’esame viene eseguito entro una sorta di cilindro chiuso) e talora nei soggetti portatori di pace maker o/o protesi metalliche che potrebbero essere danneggiate dal campo magnetico della risonanza magnetica (i dispositivi più moderni consentono spesso per fortuna l’esecuzione dell’indagine).
Molto raramente si esegue un’indagine invasiva, la flebografia, che prevede l’iniezione di mezzo di contrasto, tramite un catetere inserito nella vena, direttamente nell’ asse venoso oggetto dello studio seguita dalla esecuzione di una serie di radiografie seriate. Tale metodica, pur avendo rappresentato per molti anni l’esame di scelta per la sua sensibilità e utilizzato anche in numerosi studi scientifici come confronto con l’ecografia, è oggi riservata a pochi casi molto selezionati , poiché le metodiche non invasive (ecografica, TAC, RMN) sono molto accurate e non provocano le complicazioni tipiche della flebografia ( trombosi delle vene, rottura della vena incannulata ecc.).
Nello studio dell’embolia polmonare invece abbiamo a disposizione sostanzialmente tre metodiche di tipo radiologico: l’Angio TAC polmonare, la scintigrafia polmonare (perfusionale e ventilatoria) e l’angiografia dei vasi polmonari.
L’Angio TAC polmonare prevede l’uso di radiazioni ionizzanti e mezzo di contrasto per valutare i vasi arteriosi polmonari nel sospetto di embolia polmonare. Così come visto precedentemente la metodica, anche a livello polmonare, offre immagini molto accurate dei vasi e delle strutture adiacenti che permette una diagnosi accurata. Le controindicazioni e le limitazioni sono tuttavia le stesse viste per lo studio della trombosi venosa. Tuttavia tale metodica, soprattutto in circostanze in cui l’embolia possa essere di dimensioni notevoli o interessare rami principali, è da considerarsi di scelta visto che il quadro clinico può anche essere fatale se la tempistica della diagnosi non è rapida.
La scintigrafia polmonare invece è una metodica che, viene effettuata nelle unità di medicina nucleare, e prevede l’iniezione di macroaggregati di
albumina marcati con sostanze radioattive; questi dal circolo venoso periferico verranno trasportati fino ai vasi
arteriosi polmonari. Una volta giunti a tale livello questi aggregati si fermano nei capillari più piccoli e l'acquisizione successivamente delle immagini con una
gamma camera (una sorta di “fotografia”) confrontata con una normale radiografia del torace permette quindi di localizzare la posizione e la quantità di queste particelle, che riflette la pervietà dei vasi polmonari a monte della loro posizione e da una valutazione di probabilità che in quella sede vi sia o meno l’embolia polmonare. Tale metodica che risulta essere non controindicata nei soggetti con allergia al mezzo di contrasto e/o con insufficienza renale è tuttavia gravata da una minore sensibilità e spesso influenzata da patologie del paziente (bronchiti croniche, cardiopatie con scompenso cardiaco) che non pemettono una diagnosi di certezza ma di probabilità ed inoltre associata a falsa positività dell’esame: cioè può evidenziarsi una embolia quando poi questa non è veramente presente. Tale metodica dovrebbe essere seguita, nei casi dubbi dall’esecuzione di una scintigrafia complementare (scintigrafia ventilatoria) che prevede che il paziente inali un gas radioattivo, valutandone successivamente la perfusione a livello alveolare (polmonare): la valutazione di entrambi i quadri scintigrafici permette di ridurre i casi di falsa positività e/o i casi di mancata diagnosi.
Infine tra le diagnostiche dell’embolia polmonare, seppur a carattere di maggiore invasività, va ricordata l’angiografia polmonare. L’esame prevede l’inserimento di un catetere dalla vena femorale, fino ad arrivare nell’arteria polmonare. Attraverso il catetere viene iniettata nelle arterie del polmonari una soluzione di contrasto per renderle maggiormente visibili. L’angiografia polmonare produce una serie di immagini a raggi X altamente dettagliate (chiamate angiogrammi) dell’arteria polmonare e delle sue diramazioni. Questa metodica che offre una completa visualizzazione dell’asse vascolare presenta il vantaggio di offrire una visione più ampia possibile dell’asse vascolare soprattutto in previsione di eventuali interventi di rimozione del trombo (trombectomia). Tale esame tuttavia presenta le limitazioni dell’uso del mezzo di contrasto e delle radiazioni ionizzanti ma soprattutto è un esame invasivo, cioè il catetere viene inserito attraverso le vene all’interno dell’organismo , con le complicanze (rottura del vaso, ematomi, etc..) che questa diagnostica può offrire.